Per chiunque di noi aduso a ricerche filosofiche, il primo incontro sui banchi di scuola (italiani) con le discipline che attirano oggi il nostro interesse è stato – anche nel peggiore dei casi, in cui ad iniziarci alla filosofia sia stato un docente troppo frettoloso di iniziare la "filosofia classica" – con i cosiddetti filosofi presocratici, quindi con Parmenide di Elea e gli eleatici, ancora oggi insegnati a scuola e nelle accademie come i "filosofi dell'essere", i primi teorici che ebbero a speculare su importanti questioni di carattere ontologico (relative, cioè a quel "che vi è", o a quel che forma il "catalogo degli enti del mondo") e metafisico (relative cioè al "tipo di enti" che vi sono nel mondo), nonché come coloro per i quali le strutture dell'essere e quelle del pensiero logico condividerebbero gli stessi confini, anzi, sono le medesime (tesi dell'identità di essere e pensare). Ma, come sottolinea giustamente – seppur consapevole dei tanti limiti e delle numerose criticità di questa tradizione esegetica del pensiero eleatico – Francesco Berto, sin dai primi capitoli del suo L'esistenza non è logica; dal quadrato rotondo ai mondi impossibili, editore Laterza, filosofi come Parmenide e Zenone sono anche coloro che, primi nella storia del pensiero occidentale, danno alla luce e, anzi, "brevettano" un'intuizione dell'essere destinata a piena e lenta concettualizzazione in tutti i secoli successivi. Un'intuizione che è arrivata dopo molteplici mutazioni anche a noi, per cui l'essere non è una proprietà, non possiede cioè, caratteri descrivibili come "propri di una cosa" anziché di un'altra. "Essere qualcosa", o più in generale "Esistere", seguendo questa interpretazione di Parmenide e della sua "schiatta", non corrisponderebbe ad una caratteristica di cui il soggetto della presenza o dell'essere qualcosa "gode". Sin dai famosi Frammenti n. 2 e 6 del Poema sulla Natura di Parmenide appare chiaro, cioè, che "Ciò che è e che non può non essere" qualsiasi cosa sia, non può essere come i colori, i sapori, o come una relazione dotata di un certo indice o "arietà" (per esempio: essere colorati è una proprietà ad un posto, o di indice o arietà 1, mentre essere figli di qualcuno o mariti di qualcun'altra è già un proprietà di indice 2, e così via). Tutto è. Non solo: secondo molti storici della filosofia antica, se vale l'idea implicita nel monismo ontologico di Parmenide, per cui "tutto esiste" (purché il "tutto" e l'essere siano visti come un tutt'uno, un totum simul), allora proprio perché l'essere non può darsi come una proprietà, se "essere" fosse un predicato, non potrebbe predicarsi di qualcosa nel senso – logicamente corrente – di godere di una proprietà. Il predicato essere X, in Parmenide – ammesso e non concesso che si possa definire "predicativa" la sua tesi – non sarebbe un predicato qualunque. Non si predicherebbe solo "di qualche X", ma di tutto (è universale), non sarebbe definibile come questa o quella proprietà e sarebbe il predicato più definibile che esista, perché, per Parmenide, coinciderebbe con l'essere identico a qualcosa, e nulla si sottrae, per definizione, all'essere qualcosa. L'essere è l'identico.
Letture critiche

Francesco Berto, L'esistenza non é logica. Dal quadrato rotondo ai mondi impossibili, Laterza, Roma-Bari, 2010, pp. 310
di Stefano Vaselli
05.02.2011