La tensione tra l'idea costruttivista e culturalista sul genere e il determinismo biologico che parteggia per il sesso è sempre presente sia tra gli studiosi – scienziati o filosofi – sia tra persone non addette ai lavori. Sesso? Genere? Ma sappiamo veramente a cosa ci riferiamo quando utilizziamo questi termini? Cosa fa di noi una donna o un uomo? La questione di fondo è la seguente: che tipo di atteggiamento teniamo relativamente al "sesso" e al "genere" di fronte alle trasformazioni della conoscenza che ciascuno di noi ha di se stesso e ai cambiamenti che caratterizzano la specie umana? E se riconsiderassimo ciò che intendiamo con donna, uomo, maschio e femmina? È ovvio che una simile riconsiderazione non può essere fatta isolatamente, nel chiuso della propria stanza, ma sarebbe opportuno e proficuo prendere in esame il contributo che la filosofia contemporanea ha fornito e continua a offrire a tal proposito. Il saggio di Vera Tripodi, inserito nella collana "Le bussole" di Carocci, tenta, riuscendovi a mio parere, una sintesi meticolosa e chiara dei risultati di una simile teorizzazione che ha alle sue spalle almeno due decenni di discussione. Dei quattro capitoli di cui si compone il libro, il primo analizza la non pacificata coppia terminologica sesso-genere. L'autrice ne costruisce una metafisica (tenta di stabilire, cioè, "che cos'è", a quale categoria corrisponde, ciò che esiste nel mondo) attraverso domande ben note al panorama letterario su questo argomento. Sentiamo riecheggiare il leitmotiv presente nelle opere di Simone de Beauvoir «Donna non si nasce, piuttosto lo si diventa» mentre ci si chiede cosa fa di una donna una donna. A questa stessa domanda si cerca di rispondere anche nel secondo capitolo attraverso vari punti di domanda che spostano l'attenzione dal "genere come costruzione sociale" alla disamina delle ragioni per cui non è sufficiente la mera constatazione biologica dei caratteri sessuali primari (e dunque avere corpi diversi) per far di noi una donna o un uomo. Le considerazioni di carattere antropologico e biologico si alternano ruotando intorno alla spinosa questione circa l'insufficienza esplicativa di due soli sessi, come risultato di una legge naturale, fino a giungere all'analisi di una proposta che consiste nel riconoscere cinque sessi diversi. In un articolo pubblicato nel 1993, The Five Sexes: Why Male and Female Are not Enough, Anne Fausto-Sterling professoressa di biologia e di studi di genere, suggerisce di aggiungere altri tre sessi ai due più noti: herms, merms, ferms. Quest'ultimo ha due ovaie, genitali interni femminili, genitali esterni mascolini ambigui, cromosoma xx ed è, dunque, geneticamente femmina. Il merms, diversamente dal ferms, viene definito "pseudoermafrodita maschile" poiché presenta due testicoli, nessuna ovaia, il cromosoma xx e organi genitali esterni femminili. Infine la letteratura medica parla di "ermafrodita vero", ossia l'herms che ha sia tessuti ovarici che testicolari. Tuttavia, l'autrice pone l'accento sul limite di una simile proposta che, nonostante abbia avuto il merito di innescare riflessioni e accendere gli animi sulla naturalità della varietà dei sessi, è ancora eccessivamente incentrata sul riconoscere un primato ai genitali nell'attribuire un sesso a chi ci sta di fronte. In effetti, incalza la Tripodi, "nella vita di tutti i giorni, assegniamo un sesso a un individuo senza alcuna ispezione delle sue parti intime" (p. 68). Perché dunque, come è stato già provocatoriamente avanzato dalla psicologa sociale Suzanne Kessler, non basare questa differenza sul colore degli occhi o sulla variazione del peso corporeo?
Letture critiche

Vera Tripodi, Filosofia della sessualità, Carocci, Collana "Le Bussole", Roma, 2011, pp. 128.
di Domenica Bruni
01.07.2011