Il linguaggio rappresenta una delle principali caratteristiche della nostra specie. Se doves-simo rispondere alla domanda "che cosa ci rende umani?", senza dubbio la maggior parte di noi chiamerebbe in causa la facoltà linguistica. Del resto, saremmo in buona compagnia. Nella quinta parte del Discorso sul metodo [1637], discutendo problema di stabilire la dif-ferenza tra uomini e animali, Cartesio indica proprio la facoltà di parola, in quanto espres-sione dell'anima razionale, come elemento spartiacque tra gli esseri umani e il resto del mondo animale: «È assai noto che non c'è uomo tanto ebete e stupido, neppure un pazzo, che non sia capace di mettere insieme diverse parole e farne un discorso per comunicare il suo pensiero; e che al contrario non c'è altro animale, per quanto perfetto e felicemente creato, che possa fare lo stesso» (p. 60). In effetti, non sembra esserci nel mondo animale qualcosa di analogo al linguaggio umano. In base a considerazioni di questo tipo, l'unicità del linguaggio è stata e viene tuttora considerata da molti studiosi come l'elemento che rende gli esseri umani entità speciali nel regno della natura. Un'idea del genere viene so-stenuta con vigore, ad esempio, da Noam Chomsky [1966]. In pieno spirito neocartesiano, il linguista americano ritiene che il linguaggio segni una differenza qualitativa tra gli esseri umani e gli altri animali: la comparsa della facoltà linguistica introduce una discontinuità (una frattura) nel mondo della natura. Gli umani non sono diversi dagli altri animali allo stesso modo in cui ogni specie è diversa da un'altra specie, dal momento che gli esseri u-mani, in forza del linguaggio, non sono semplicemente animali.
In opposizione alla tradizione cartesiana che fa dell'essere umano un'entità separata dal resto del mondo naturale, nel suo ultimo libro Alle origini del linguaggio umano. Il punto di vista evoluzionistico, Francesco Ferretti mostra in modo efficace e con una scrittu-ra chiara e accessibile anche ai non specialisti, che l'unica strada da percorrere per com-prendere la natura e l'origine del linguaggio sia l'adozione di una prospettiva naturalistica. Ferretti abbraccia dunque la teoria dell'evoluzione e l'idea che le differenze esistenti tra le specie animali siano solo differenze di grado (quantitative) e non di qualità considerando gli esseri umani come animali tra gli altri animali. Come afferma nell'introduzione, «il fat-to che si possa andare fieramente orgogliosi delle abilità che caratterizzano la nostra specie non è affatto in contrasto con l'idea che tali abilità siano da ricondurre alla natura animale degli esseri umani, tutt'altro» (p. VI). Dalla prospettiva adottata nel libro, pertanto, il lin-guaggio non è l'elemento di discontinuità che conferisce alla specie umana uno statuto di specialità. Alla base del testo vi è infatti l'idea che la facoltà linguistica poggi su sistemi cognitivi condivisi anche con altri animali: l'indagine sulla natura del linguaggi procede parallelamente con l'analisi delle condizioni generali comuni anche alle altre specie anima-li. L'obiettivo dell'autore è di proporre un modello interpretativo che dia conto dell'origine e del funzionamento del linguaggio avendo come scopo prioritario la confor-mità alla teoria dell'evoluzione. Più nello specifico, Ferretti punta a dimostrare che le ca-pacità verbali umane possono essere interpretate come una forma di adattamento biologico dovuto alla selezione naturale. Ora, nel dibattito contemporaneo sull'origine del linguag-gio, quando si discute sul ruolo adattativo o meno della facoltà linguistica si fa riferimento ad uno specifico modello del linguaggio: la 'Grammatica Universale' (GU) [Pinker e Blo-om, 1990; Christiansen e Chater, 2008; Larson et al., 2010; Corballis, in stampa]. Proposta da Chomsky a partire dagli anni Cinquanta del Novecento, e tutt'ora uno dei principali modelli di riferimento all'interno della scienza cognitiva, la GU è l'idea per cui i principi che regolano il funzionamento del linguaggio sono innati e specie-specifici [1968; 1988; 2006]. Chi sostiene che il linguaggio abbia una funzione adattativa pensa che la GU sia l'adattamento biologico in questione [Pinker e Bloom, 1990]; al contrario, chi rifiuta le concezioni adattative pensa, in primo luogo, che la GU non sia un modello del linguaggio compatibile con l'evoluzionismo e, in seconda istanza, che per dar conto dell'evoluzione del linguaggio bisogna far riferimento ai processi di trasmissione culturale e non a quelli dell'evoluzione biologica [Deacon, 1997; Tomasello 1999; 2008]. Il libro di Francesco Ferretti si inserisce all'interno di tale dibattito. La tesi di fondo del testo è che se un model-lo del linguaggio (la GU) non è un modello compatibile con la teoria dell'evoluzione, allo-ra quel modello non è un buon modello del linguaggio. Secondo Ferretti rinunciare all'idea che la GU sia un modello evolutivamente plausibile non significa rinunciare all'idea del linguaggio come adattamento biologico e approdare a posizioni cultura liste. Se la GU non si accorda con le tesi evoluzionistiche è bene cambiare strada provando a costruire un mo-dello interpretativo in linea con il paradigma darwiniano. Ferretti, infatti, argomenta in modo assai convincente in favore di un modello del linguaggio interpretabile nei termini di adattamento biologico e che trova fondamento nell'idea della priorità logica e temporale della pragmatica sulla grammatica. Per illustrare come l'autore arrivi ad un tale risultato, partiamo dalla prima mossa argomentativa del libro: la critica alla GU.
Letture critiche

Francesco Ferretti, Alle origini del linguaggio umano, Roma-Bari, Laterza, 2010, pp. 192
di Ines Adornetti
02.07.2011