Parlare di filosofia come terapia può significare a un tempo svilire ed enfatizzare il compi-to del filosofo, a seconda della prospettiva che si assume. Da un lato la perdita della teoria come oggetto proprio della filosofia comporta un venir meno di quella che è spesso ritenuta la sua missione primaria, la costruzione di sistemi assertivi, positivi, sulla natura delle cose. Dall'altro lato, proprio il venire meno della teoria lascia spazio ad una filosofia più intimamente legata al vivere, alla ricerca di un benessere e un equilibrio che in diverse tradizioni e periodi storici ha costituito il fine proprio dell'attività filosofica. In questa chiave appare illuminante la distinzione tra terapia filosofica e filosofia terapeutica, punto di partenza del progetto di Eugen Fischer, esposto nel suo Philosophical Delusion and its Therapy, da poco uscito per Routledge. Per terapia filosofica, si intende in senso ampio l'utilizzo della filosofia per risolvere problemi di ordine emotivo e pratico che sorgono nel-la vita quotidiana; si tratta quindi di un'impostazione che risale alla filosofia antica, ad Epicuro, agli stoici, se non allo stesso Socrate. La filosofia terapeutica, invece – ed è questa la prospettiva che Fischer intende sviluppare (p. 14) – mira a mettere fine alle inquietudini intellettuali che sono primariamente generate proprio dalla filosofia. La differenza non è secondaria; il nodo centrale è il riconoscimento che la riflessione filosofica ha un potenziale patologico e patogeno. Questo riconoscimento implica un cambiamento di marcia per l'attività filosofica, che deve innanzi tutto acquisire uno sguardo meta-filosofico, e in secondo luogo rinnovare se stessa e proporsi come terapia in grado di diagnosticare e curare il male. Un progetto del quale secondo Fischer sono stati pionieri Ludwig Wittgenstein e John L. Austin, e del quale la svolta linguistica costituisce storicamente una prima e solo parziale realizzazione. Se questo è il quadro teorico di riferimento, la prospettiva di Fischer si sviluppa, coerentemente, non solo e non tanto nella prescrizione di una ricetta, quanto piuttosto in una notevole e convincente esemplificazione di quelli che potremmo chiamare casi clinici storici, che mostra come alcuni persistenti nodi problematici della storia della filosofia (la relazione mente-corpo, la privatezza della mente, le qualità primarie e secondarie) e alcune figure emblematiche (John Locke e George Berkeley ma anche, più vicino a noi, Alfred J. Ayer) siano chiaramente interpretabili in questa chiave. Il fine è delineare una nuova rivoluzione filosofica, come recita senza falsa modestia il sottotitolo del libro, che faccia tesoro delle scoperte e dei metodi utilizzati dalla linguistica e dalla psicologia cognitiva, riprendendo e sviluppando il metodo auto-terapeutico proprio delle Ricerche filosofiche di Wittgenstein. Il lavoro di Fischer si situa quindi in modo originale nel panorama esistente, perché consapevolmente non si colloca né nella tradizione storica della terapia filosofica, che risale agli antichi e arriva alle pratiche di counseling filosofico contemporaneo [Hadot 2001; Achenbach 1987], né nel quadro degli sviluppi dell'idea di terapia presente nella filosofia wittgensteiniana [Cavell 1979; Crary, Read 2000], ma costruisce la nozione di filosofia terapeutica rivolgendosi primariamente alle scienze cognitive e ai terapisti cognitivi, pur rimanendo, almeno nelle intenzioni, all'interno di una prospettiva di tipo filosofico. Una mossa insolita che fa leva soprattutto sulla convinzione, non condivisa da altri interpreti di scuola wittgensteiniana [ad esempio Hanfling 2004], che la terapia sia compatibile con l'argomentazione, e anzi in gran parte si attui attraverso l'argomentazione. Il terapista co-gnitivo mira a capire, e a far capire argomentativamente al paziente, in quali situazioni emergono i suoi problemi emotivi e comportamentali, come normalmente il paziente interpreta queste situazioni, e perché tali interpretazioni sono sistematicamente fuorvianti [Beck 1995]. Ma non è solo il metodo argomentativo a portare Fischer verso le scienze cognitive: il suo obiettivo è anche quello di presentare recenti risultati sperimentali che conferiscono scientificità all'idea che la riflessione filosofica possa essere guidata da false immagini e possa condurre a disagi e disturbi comportamentali. In questa chiave i suoi principali punti di riferimento sono gli studi di linguistica cognitiva sull'estensione metaforica [Traugott, Dasher 2005] e sull'inferenza analogica non intenzionale [Day, Gentner 2007].
Letture critiche

Eugen Fischer, Philosophical Delusion and its Therapy: Outline of a Philosophical Revolution, London: Routledge, 2010, xviii + 300 pp.
di Anna Boncompagni
09.07.2011