Chiunque si sia trovato di fronte all'arduo compito di "rendere" il testo originale in una traduzione, sa in cuor suo che il ricorso al mito di Sisifo cui Francesca Ervas si richiama all'inizio del suo testo Uguale ma diverso, non è un'esagerazione.
Chi si interessa al tema della traduzione annovera probabilmente tra i suoi ricordi scolastici la fatica di quando, alle prese con il processo di comprensione di un testo greco o latino - lingue distanti dalle nostre conoscenze e dalla nostra epoca - cercavamo di soddisfare le aspettative dell'insegnante: non si doveva essere necessariamente "letterali", ma allo stesso tempo occorreva non "allontanarsi troppo dal testo"; fedeli, ma non pedissequi; creativi, ma non traditori. Un difficile equilibrio che rappresenta una situazione non molto diversa da quella dello studioso che cerca di venire a capo della complessa questione dell'alterità nella traduzione.
Anche la frustrazione del giudizio dell'insegnante, che quasi immancabilmente riteneva la nostra interpretazione o troppo letterale o troppo infedele, ricorda l'immagine di Sisifo che ricomincia tutte le volte il proprio lavoro daccapo, riportando sulla montagna il macigno appena rotolato a valle. La traduzione vive nel breve istante in cui il masso sta in equilibrio, e cerca il punto instabile ma virtuoso in cui si mantiene la diversità pur istituendo un'uguaglianza. Il mito di Sisifo, tuttavia, viene più propriamente richiamato da Francesca Ervas per evidenziare la rilevanza filosofica del tema della traduzione e allo stesso tempo chiedersi "se davvero valga la pena di sollevare ogni volta questo macigno" (p. 10) o se il tentativo sia inutile.
La traduzione appare infatti, esaminata con lo sguardo del teorico, un'impossibilità di principio; osservata invece come prassi una necessità irrinunciabile e una pratica assidua. La sfida per il filosofo è allora quella di sciogliere il paradosso per il quale la traduzione rischia di impersonare un concetto impossibile nello stesso istante in cui la si pratica. Più in generale, inoltre, il tema della traduzione è decisivo per la filosofia del linguaggio e della mente in quanto i problemi e i paradossi che la caratterizzano coincidono in larga parte con quelli propri dei processi di comprensione: capire i perché e il come si traduce può pertanto assolvere il ruolo di cartina di tornasole per i processi cognitivi, sociali e persino politici presenti nella comunicazione, usualmente celati dalla velocità e automaticità della comprensione monolingue. Essi vengono infatti alla luce quando il codice non è condiviso e costringe ad attivare processi inferenziali consapevoli per far sì che un messaggio del mittente possa essere compreso da un destinatario che non ne condivide la lingua e la cultura. In questa situazione di possibile impasse cognitiva e comunicativa connaturata alla traduzione, che esplicitamente deve costruire un ponte di equivalenze tra codici diversi, gli elementi che entrano in gioco nel processo di trasformazione del messaggio diventano visibili.
Letture critiche

Francesca Ervas, Uguale ma diverso. Il mito dell'equivalenza nella traduzione, Quodlibet, Roma, 2008, pp. 203.
di Elisabetta Gola
28.06.2010