Letture critiche

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Andrea Moro, "I confini di Babele. Il linguaggio e il mistero delle lingue impossibili", Bologna, Il Mulino, 2015, pp. 360

di Stefana Garello
31.10.2017

La ricchezza fenotipica delle forme di vita presenti sulla Terra sembra po-ter essere ricondotta a variazioni quantitative e combinatorie di materiale genetico. Il DNA costituisce in quest'ottica una sorta di linguaggio univer-sale sottostante all'immensa variabilità morfologica e funzionale delle mol-teplici specie viventi. Analogamente all'indagine biologica, la ricerca lin-guistica ha tentato di rintracciare una struttura profonda sottostante alla va-riabilità delle lingue parlate nel mondo, arginando così il contrasto tra l'idea del DNA come linguaggio universale in cui è codificata la vita sulla Terra e la Babele linguistica, nell'immaginario comune foriera di divisione e inco-municabilità. A partire dalla seconda metà del Novecento Noam Chomsky si è impe-gnato a dimostrare che le più di seimila lingue parlate nel mondo non varia-no indefinitamente ma tendono a presentare gruppi di proprietà omogenei, i principi, pur presentando gradi di libertà, i parametri. Sembra cioè esistere un sostrato comune tra le lingue del mondo, rispetto a cui le loro differenze specifiche sono solo superficiali: in quest'ottica tutte le grammatiche sono variazioni su uno stesso stampo in cui un cambiamento minimo di un parametro ha un effetto macroscopico, tanto da far apparire le lingue così diverse e irriducibili tra loro.

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