Letture critiche

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Maria Grazia Turri, "Gli oggetti che popolano il mondo. Ontologia delle relazioni", Roma, Carocci, 2012, pp. 239

di Lisa Giombini
26.04.2014

Immaginate di domandare a un bambino in età prescolare cos'hanno in comune il suo triciclo, una pigna trovata al parco, il laccio della vostra scarpa, il bar all'angolo e la sua babysitter. Probabilmente se ne andrà via sbuffando, persuaso che i grandi della sua specie siano quasi tutti completamente matti. Ma immaginate che provi invece a rispondere, per pura disinteressata condiscendenza infantile. Di certo non avrà problemi ad ammettere che il triciclo, la pigna e il laccio sono delle cose, sono cioè oggetti che lui conosce bene e che può toccare e usare, stringere e lanciare. Qualche seria perplessità lo assalirà invece nel dover collocare il bar nella stessa categoria di una pigna, e un senso di viva ripulsa gli impedirà di accostare la sua babysitter a un laccio da scarpe.

Un tale reazione sarebbe senza dubbio confortante sul piano etico: da essa apprenderemmo che egli ha sviluppato una dose di senso morale sufficiente a impedirgli di ridurre gli altri esseri umani a oggetti, la qual cosa, da adulti e potenziali educatori, non potrebbe che consolarci. D'altra parte sul piano teoretico una reazione del genere potrebbe apparirci anche interessante, perché rivelatrice della presenza, nel bambino, di un ordine intuitivo che lo rende capace di distinguere chiaramente tra oggetti inanimati e oggetti animati, tra cose e persone.

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