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Paul H. Grice

di Paolo Labinaz
23.06.2012

Paul H. Grice è stato uno dei maggiori filosofi analitici del linguaggio, avendo di fatto contribuito alla nascita e definizione di un nuovo ambito di studi, la pragmatica del linguaggio, e allo sviluppo del dibattito, ancora oggi molto attuale, riguardante i rapporti tra semantica e pragmatica. In questo saggio, si intende presentare il suo pensiero filosofico, con particolare attenzione alla sua teoria del significato basata sulle intenzioni comunicative e alla sua teoria dell'implicatura, le principali critiche sollevate a tali teorie e infine la ricezione del suo pensiero nell'ambito di studi all'intersezione tra filosofia analitica del linguaggio, linguistica e psicologia cognitiva.


Paul H. Grice (Birmingham, 1913 – Berkeley, 1988) è stato uno dei maggiori filosofi analitici del linguaggio, avendo di fatto contribuito con la sua opera filosofica alla nascita e definizione di un nuovo ambito di studi, ovvero la pragmatica, e allo sviluppo del dibattito, ancora oggi molto attuale, riguardante i rapporti tra semantica e pragmatica. Formatosi a Oxford negli anni trenta del secolo scorso, Grice nel secondo dopoguerra partecipa attivamente ai seminari organizzati da John L. Austin, luogo di confronto per gli studiosi che si riconoscevano nel movimento noto come "filosofia del linguaggio ordinario". Gli appartenenti a questo movimento si opponevano all'approccio dominante a quel tempo in filosofia analitica del linguaggio, approccio che, a partire dall'opera di autori quali Gottlob Frege, Bertrand Russell e il primo Wittgenstein, si proponeva di riformare il linguaggio ordinario impiegando gli strumenti della logica al fine di renderlo conforme agli scopi della ricerca scientifica. Centrale per i sostenitori di questo approccio è la nozione di significato caratterizzata come (i) vero-condizionale, il significato di un enunciato si identifica con le sue condizioni di verità, (ii) composizionale, il significato di un enunciato dipende dal significato dei suoi componenti, e infine (iii) non psicologica, l'attività mentale non determina in alcun modo il significato degli enunciati né dei loro componenti (si veda Marconi 1999: p. 15). I filosofi del linguaggio ordinario, criticando tale modo di concepire il linguaggio, mettono al centro della loro analisi i modi di parlare quotidiani. Per loro, infatti, nell'affrontare le principali questioni filosofiche è necessario tener conto degli usi ordinari delle espressioni filosoficamente rilevanti nelle situazioni concrete di comunicazione.Mentre tuttavia i filosofi del linguaggio ordinario concordavano sulla necessità di un'identificazione tra significato delle espressioni e loro uso seguendo la lezione del secondo Wittgenstein, Grice attribuisce una valenza filosofica fondamentale proprio alla distinzione tra significato ed uso tanto da considerarla come uno dei capisaldi della sua filosofia del linguaggio (Grice 1989, tr. it.: p. 34). Così facendo, egli pone le basi per un metodo di analisi che si configura come un compromesso tra le pretese dell'approccio logico-formale e le istanze portate avanti dai filosofi del linguaggio ordinario. È tra il 1948 e gli anni settanta che Grice realizza il suo progetto filosofico, delineando prima una teoria del significato basata sulle intenzioni comunicative e in seguito una teoria dell'implicatura. La diffusione di queste due teorie e delle nozioni ad esse associate avviene in un primo momento attraverso una serie di articoli e di dattiloscritti delle sue lectures e soltanto successivamente grazie al volume postumo Studies in the Ways of Words (1989), che raccoglie in maniera organica gran parte della sua produzione filosofica. In questa introduzione al pensiero di Grice, mi occuperò prevalentemente del suo contributo alla filosofia del linguaggio, tralasciando invece altri temi, quali la psicologia filosofica, la filosofia morale e la metafisica, dei quali egli si è occupato soprattutto dopo il suo approdo all'Università di Berkeley nel 1967, e che, oltre che in Grice [1989], sono trattati in due raccolte di lezioni, edite postume e intitolate rispettivamente The Conception of Value (1991) e Aspects of Reason (2001).

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