Temi

Neutralità liberale

di Corrado Del Bò
22.06.2011

In certa teoria liberale l'idea di neutralità dello Stato costituisce il criterio per risolvere alcuni conflitti che caratterizzano le società democratiche pluralistiche contemporanee. In questo contributo si perseguiranno tre obiettivi: mettere in luce la complessità interna della nozione di neutralità; chiarire il tipo di problema che il principio di neutralità vuole risolvere; mostrare come il principio di neutralità sia alla base di una certa variante di liberalismo (il liberalismo politico), facendo altresì cenno all'idea di eguale rispetto come fondamento su cui tale principio può essere difeso.


In filosofia politica l'interesse per il concetto di neutralità è, in apparenza, relativamente recente. Esso discende dal problema, sollevato dagli autori cosiddetti comunitari (in particolare da Sandel [1982]), di quale spazio una teoria della giustizia liberale come quella di Rawls [1971] debba riservare alle credenze di singoli e gruppi in tema di vita buona. Nonostante già Nozick [1974, tr. it. p. 279] si fosse posto il problema della neutralità dell'azione statale e pur risalendo a Montefiore [1975] un primo tentativo di analisi del concetto, è in effetti a metà degli anni Ottanta del XX secolo, con i testi di Dworkin [1985], Raz [1986], Larmore [1987] e dello stesso Rawls [1988], e con il volume collettaneo a cura di Goodin e Reeve [1989], che la nozione di neutralità entra nel lessico della filosofia politica. Da allora essa è diventato uno snodo concettuale su cui convergono, e da cui dipartono, una serie di importanti questioni per la teoria politica normativa, almeno per quella d'impronta liberale.

Di che cosa si tratta esattamente? In termini ancora molto generali, giacché i dettagli proveremo a fissarli nel prossimo paragrafo, possiamo asserire che i liberali fanno ricorso all'idea di neutralità per propugnare l'idea che lo Stato non debba favorire alcuna tra le dottrine comprensive presenti nella società. "Dottrine comprensive" è un'espressione che rimanda a Rawls [1988; 1993], con la quale si identificano le concezioni relative a ciò che ha valore nella vita umana. Esempi di dottrine comprensive sono le confessioni religiose, le teorie morali, le concezioni metafisiche. È attingendo a queste "offerte" di visioni del mondo che ciascuno definisce – se vogliamo impiegare un'altra volta il lessico rawlsiano – la propria concezione del bene, vale a dire la propria particolare risposta alla domanda 'come si deve vivere?'.

Come mostrerò nel paragrafo 3, il principio di neutralità (secondo i suoi fautori) risponde al problema sollevato dalla presenza di una varietà delle dottrine comprensive rintracciabili nelle società democratiche liberali: quando, infatti, queste dottrine sono tra loro incompatibili, oppure una o alcune di esse sono incompatibili con i principi liberali di giustizia, e quando queste incompatibilità danno vita a conflitti su come regolare questioni di interesse collettivo, esiste il rischio che venga minato il patto politico che sta alla base della cooperazione sociale e, in ultima analisi, la stabilità di quelle società. La neutralità diventa allora la via per risolvere normativamente questi conflitti e assicurare perlomeno sul piano teorico la possibilità di una coesistenza pacifica su basi paritarie tra le diverse dottrine comprensive (religiose, morali, filosofiche) che abitano il medesimo spazio sociale.

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