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Io morale

di Lorenzo Greco
28.09.2011

In questo intervento esamino la nozione di io morale alla luce di una serie di questioni rilevanti per etica filosofica contemporanea, privilegiando una prospettiva che si pone nel solco del sentimentalismo etico di David Hume. Nella prima parte prendo le mosse da tre "ovvietà di senso comune" – la praticità dell'etica, la sua pretesa di oggettività e la sua argomentabilità – e metto a confronto la prospettiva del sentimentalismo humeano con quella del costruttivismo kantiano. Mi rivolgo, quindi, a Bernard Williams e alla sua maniera di concepire l'etica come una peculiare genealogia della morale. Sostengo che essa fa perno su una considerazione dei singoli individui in quanto passionalmente contraddistinti. Concludo, infine, esaminando il modo in cui la nozione di io morale trova posto in etica normativa, facendo riferimento in particolare all'etica della virtù.


Quando si riflette sull'etica, ci si trova di fronte a tre «ovvietà di senso comune sulla moralità» (Lecaldano [2010], p. 49). In primo luogo, «la morale si colloca a livello pratico, nel senso che influenza la condotta delle persone» (Lecaldano [2010], p. 47). Inoltre, in essa è presente una «pretesa di oggettività» (Lecaldano [2010], p. 48), in quanto i giudizi morali, per essere riconosciuti come tali, non possono essere ridotti al gusto delle persone, o a un loro capriccio privato. Infine, l'etica «ha a che fare con impegni niente affatto arbitrari ma relativamente ai quali è del tutto legittimo chiederci ragioni e giustificazioni» (Lecaldano [2010], p. 48). Dalla prospettiva del senso comune, perciò, la praticità, la pretesa di oggettività e l'argomentabilità si presentano come tratti fondamentali che definiscono l'etica, contraddistinguendola come una sfera concettuale autonoma e irriducibile ad altri ambiti di discorso. Da parte loro, praticità, pretesa di oggettività e argomentabilità dell'etica sembrerebbero fare necessariamente riferimento a qualcuno – un io, un soggetto, un agente, moralmente contraddistinto – grazie al quale queste tre caratteristiche dell'etica acquistano senso.Se, infatti, l'etica è pratica, essa deve esserlo per un individuo, per il quale o la quale i dettami dell'etica si presentano come dotati di una forza prescrittiva. Questa forza prescrittiva, a sua volta, è il risultato di un processo argomentativo che va al di là della semplice espressione di preferenze personali. Si tratta, per dirla in altre parole, di quel rapporto tra libertà e ragione che Richard Mervyn Hare riconosceva come costitutivo del discorso morale, e che rimanda all'esercizio autonomo della riflessione da parte di un singolo quando si trova di fronte a un problema effettivamente morale: «un uomo che si trovi ad affrontare un problema del genere sa che si tratta del suo problema e che nessuno può risolverlo per lui». (Hare [1963], trad. it. p. 25. Cfr. Lecaldano [1995], cap. 1). L'etica, per la sua stessa definizione, parrebbe quindi chiamare in causa una dimensione soggettiva che va chiarita se dell'etica si vuole dare un resoconto filosoficamente convincente. Quando, tuttavia, ci si interroga su ciò in cui consiste questa dimensione soggettiva, e sul ruolo che il soggetto ricopre nell'etica, ci si trova di fronte a una difficoltà. Il problema è che se un qualche resoconto di un io moralmente contraddistinto sembrerebbe venire richiesto, a ben guardare quella di "io morale" non corrisponde affatto a una nozione univoca e definita, ma rappresenta piuttosto un plesso teorico sostantivo, che si pone a cavallo tra metaetica ed etica normativa (a cavallo, cioè, tra un'analisi delle nozioni che contraddistinguono il discorso etico e una specifica presa di posizione teorica circa ciò che è buono e giusto), e in cui si incontrano e si intrecciano una serie di questioni rilevanti per l'etica filosofica (sulla distinzione tra metaetica ed etica normativa, cfr. Miller [2003], cap. 1). In realtà, chiamare in causa l'io come importante per la comprensione dell'etica non è qualcosa di immediato né di ovvio. Prendere l'avvio dall'io e indagare il posto che esso occupa all'interno della moralità può essere d'aiuto a fare chiarezza su diversi elementi di cui essa si compone e sulle dinamiche che la muovono. Ma è necessario sottolineare che, procedendo in questo modo, si sta facendo una scelta che non è affatto neutra; vale a dire, si sta già optando per una maniera precisa, e sin dal principio valutativamente qualificata, di intendere l'etica (Donatelli-Greco [2007]). In questo breve intervento privilegio una concezione etica sentimentalista di tipo humeano. Proverò a mostrare come una specifica nozione di io morale di tipo sentimentalista apra uno spazio concettuale capace di tenere insieme, in maniera convincente, una serie di problemi discussi nel dibattito etico odierno, a partire dalle tre «ovvietà di senso comune» appena ricordate.

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