In metafisica, con il termine 'tropo' (in inglese 'trope') si intende un'istanza specifica di una proprietà. Nella letteratura filosofica, i tropi sono stati anche definiti 'particolari astratti' - per contrapporli agli oggetti materiali tradizionalmente intesi, denominati 'particolari concreti' -, 'accidenti individuali', 'unità di proprietà' e 'momenti'. Sotto queste o altre denominazioni, la nozione di tropo è, secondo alcuni commentatori, rintracciabile già in Platone e Aristotele e poi, nel Medioevo, in Boezio, Avicenna, San Tommaso e Duns Scoto. In tempi successivi, essa sembra apparire negli scritti di Leibniz ed è poi sicuramente riscontrabile in Husserl. È però nel XX secolo che il concetto di tropo diventa più preciso e ottiene maggiore diffusione, dapprima nell'opera di G.F. Stout negli anni '20 (si veda il suo contributo nell'ambito del simposio con G.E. Moore e G. Dawes Hicks (Moore, Stout e Dawes Hicks [1923])), e poi di D.C. Williams [1953] - il quale ha introdotto il termine 'tropo' -, K. Campbell ([1981], [1990]), P. Simons [1994] e J. Bacon [1995].
In senso stretto, nulla impedisce di concepire i tropi come manifestazioni di 'universali' - cioè di entità ripetibili nel senso che, per esempio, pur esistendo molte cose verdi, e quindi molte istanze di verde, esiste solo un universale Verde, letteralmente presente in ognuna di queste cose e istanze. Solitamente, però, tropi e universali vengono contrapposti in modo netto. In particolare, coloro che credono nell'esistenza di proprietà ma non che queste siano entità capaci di esistere in più oggetti allo stesso tempo (i cosiddetti 'nominalisti' rispetto agli universali) concepiscono il mondo come almeno in parte costituito da tropi, e quella dei tropi come una categoria ontologica fondamentale.
Secondo Williams e autori più recenti ispirati al suo lavoro, poi, la realtà è composta esclusivamente da tropi, cioè tutti gli oggetti sono insiemi di istanze di proprietà (non derivanti da universali) connesse in qualche modo l'una all'altra, e non vi sono altre categorie ontologiche fondamentali. Secondo Williams e gli altri teorici dei tropi, allora, i tropi sono il vero e proprio 'alfabeto dell'essere' (da qui in avanti, si parlerà per semplicità di teoria e teorici dei tropi, intendendo con ciò, rispettivamente, la concezione della realtà appena illustrata e i suoi sostenitori).
Se non altro in virtù del fatto che essa è oggetto di crescente interesse nel contesto del panorama filosofico contemporaneo (perlomeno quello di stampo cosiddetto 'analitico'), è certamente opportuno esaminare più in dettaglio le caratteristiche della teoria dei tropi, nonché i principali punti forti e problemi con cui essa si deve misurare.
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Tropi
di Matteo Morganti
27.01.2012
Che tipo di entità sono le proprietà? Sono esse da concepirsi, sulla scorta della tradizione platonica, come universali, così che, per esempio, tutti gli uomini buoni sono in qualche relazione con una stessa entità, la Bontà? E c'è negli oggetti, come suggerito da Locke, qualcosa di aggiuntivo rispetto alle proprietà, un sostrato che le supporta e le unifica? Che esistano sia universali che sostrati può sembrare a prima vista plausibile. I sostenitori dei tropi, invece, respingono il realismo sugli universali e ritengono che, al di fuori del linguaggio e della mente, ogni proprietà sia un'entità a sé stante. Unita al rifiuto dell'idea di sostrato, questa linea di pensiero porta poi alla concezione nominalista radicale secondo cui la realtà è costituita solo da istanze uniche di proprietà. Da queste scelte teoriche scaturisce una serie di questioni filosofiche.